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Tendini riparati con cellule staminali: un nuovo traguardo giapponese

Le cellule staminali potrebbero forse essere utilizzate anche per riparare le lesioni ai tendini secondo un nuovo studio condotto dall’Università di Kyoto. Attualmente le lesioni ai tendini più gravi vengono affrontate con trattamenti chirurgici che spesso prevedono il trapianto di tendini prelevato da un’altra parte del corpo dello stesso paziente oppure l’iniezione di cellule di un donatore direttamente nel tendine lesionato.

I ricercatori dell’istituto giapponese, in un nuovo studio pubblicato su Nature Communications, riportano un nuovo metodo che vede l’utilizzo delle cellule staminali. Queste ultime riducono quella che è una delle preoccupazioni quando si effettua il trapianto di cellule donate. Come spiega Makoto Ikeya, professore associato al CiRA dell’Università di Kyoto, le cellule devono infatti prima essere espanse. Si tratta di una procedura che può diminuire la loro efficacia. E questo senza contare che, provenendo da una persona diversa, spesso è difficile stabilire il loro livello di qualità e di efficacia.

Quando invece si usano cellule prelevate da un’altra parte del corpo dello stesso paziente, invece, possono a volte sussistere altre tipologie di problemi che possono prolungare il periodo di riabilitazione. Le cellule staminali, invece, possono essere espanse e in generale manipolate in maniera molto più efficiente.

I ricercatori hanno usato cellule staminali producendo tenociti, le cellule del tendine.
I tenociti prodotti dalle cellule staminali sono poi stati trapiantati in topi con talloni di Achille strappati. Il recupero nei topi trattati con le cellule staminali era molto più veloce rispetto ai topi trattati senza cellule staminali. La forza biomeccanica del tendine di topi trattati con cellule staminali si avvicinava velocemente a quella dei ratti illesi.

Questo studio apre quindi la possibilità di produrre tenociti autologhi in vitro e poi trapiantarli. I risultati devono però essere ancora di mostrati sull’uomo.

Fonte: Nature Communication

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