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Nanostrasfezione di tessuti presso l’Università dell’Indiana

Uno degli sviluppi medici più notevoli negli ultimi due decenni è stata la capacità di prendere cellule adulte specializzate e ripristinarle nel tipo di cellule staminali non specializzate che si trovano nel tessuto embrionale. Queste cellule staminali hanno un grande potenziale terapeutico perché possono essere indotte a crescere in varie cellule, tessuti e (eventualmente) organi che saranno completamente compatibili con il paziente, eliminando il problema del rigetto tissutale o di trovare donatori.

Sfortunatamente, fare questo richiede complicate procedure di laboratorio e, insieme a molte alternative, può aumentare alcuni rischi, tra cui dare origine a cellule cancerogene. Invece, è necessario un sistema più semplice che non richieda i passaggi elaborati necessari per la trasformazione delle cellule staminali.

L’approccio del team dell’Università dell’Indiana è quello di rinunciare al laboratorio e trasformare il corpo umano nel proprio programmatore cellulare utilizzando una tecnologia chiamata nano-trasfezione dei tessuti. Questo sistema utilizza un nanochip di silicio che è stato stampato per includere canali che terminano in una serie di micro-aghi. Sulla parte superiore del chip c’è un contenitore di carico rettangolare, che contiene geni specifici.

Spinti da una carica elettrica focalizzata, questi geni vengono introdotti alla profondità desiderata nel tessuto vivente e alterano le cellule, convertendo la posizione in un piccolo bioreattore che riprogramma le cellule in modo da farle diventare diversi tipi di cellule o strutture multicellulari, come vasi sanguigni o nervi, senza la necessità di elaborate tecniche di laboratorio o sistemi di trasferimento di virus pericolosi. Una volta prodotte, queste cellule e tessuti possono aiutare a riparare i danni sia localmente che in altre parti del corpo, incluso il cervello.

“Questo piccolo chip di silicio consente alla nanotecnologia di cambiare la funzione delle parti del corpo vivente”, afferma Sen, direttore dell’Indiana Center for Regenerative Medicine and Engineering. “Ad esempio, se i vasi sanguigni di qualcuno sono stati danneggiati a causa di un incidente stradale e hanno bisogno di afflusso di sangue, non possiamo più fare affidamento sul vaso sanguigno preesistente perché è schiacciato, ma possiamo convertire il tessuto cutaneo in vasi sanguigni e salvare l’arto a rischio”.

La tecnologia è in fase di sviluppo da oltre cinque anni e il team dell’Università dell’Indiana si sta ora concentrando sull’andare oltre la prototipizzazione per rendere il nanochip uno strumento pratico che può essere utilizzato in contesti clinici. Ciò include l’ottenimento dell’approvazione della FDA statunitense il prossimo anno, che aprirebbe le porte alla ricerca clinica sulle persone. Le potenziali applicazioni nella medicina civile e militare includono la riparazione di danni cerebrali derivanti da un ictus o l’inversione del danno ai nervi causato dal diabete.

Fonte: Nature Nanotechnology, Chandan Sen (traduzione Alessandro Crea)

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