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Trapianto di cellule staminali per Sclerosi Multipla

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Nessuna ricaduta e nessuna nuova lesione, in nessuno dei pazienti. Sono questi i risultati incoraggianti che arrivano da uno studio sull’efficacia del trapianto di staminali ematopoietiche nei pazienti con sclerosi multipla. Una conferma della loro efficacia, sì, ma soprattutto dell’importanza di selezionare bene i pazienti adatti a ricevere questo trattamento. Perché le staminali funzionano, con effetti che si mantengono anche nel lungo periodo, ma non possono essere una terapia per tutti.

Lo ha ribadito, commentando i dati dello studio presentati durante il Forum 2022 dell’Americas Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis (ACTRIMS) in Florida, Matilde Inglese, docente di Neurologia presso l’Università di Genova e responsabile del Centro sclerosi multipla – Irccs Ospedale San Martino. Inglese studia da tempo il ruolo del trapianto di staminali ematopoietiche in questa malattia: “Anche se è un trattamento nato per alcune forme tumorali, è già dalla metà degli anni Novanta che viene applicato nel campo delle malattie autoimmuni”, ricorda. E da allora medici e ricercatori hanno messo insieme una serie di dati per riuscire a capire quali sono i pazienti che più ne possono beneficiare.

“Oggi sappiamo che non possiamo offrirlo a tutti, perché il trapianto di staminali ematopoietiche ha un profilo di rischio impegnativo, soprattutto a causa della chemioterapia che viene somministrata ai pazienti, con rischi di infezione e anche di morte in alcuni casi, sebbene siamo riusciti ad abbassare di molto la mortalità negli anni”.

Nel trapianto di staminali ematopoietiche autologhe, infatti, le cellule sono prelevate dal paziente stesso e poi re-infuse, dopo un trattamento chemioterapico per eliminare le cellule impazzite che sostengono l’infiammazione e la risposta immunitaria anomala. Le staminali trapiantate possono così contribuire a formare un nuovo sistema di difesa, più tollerante.

Quelli presentati in Florida sono i risultati relativi al suo utilizzo in una settantina di pazienti con sclerosi multipla (la maggior parte con forme recidivanti-remittenti) seguiti a Ottawa, in Canada, con un follow-up variabile da pochi mesi fino a venti anni. I risultati, come anticipato, ne confermano l’efficacia: nessuna ricaduta né nuove lesioni osservate, e nessun bisogno di ricorrere ad altri farmaci.

Ma c’è dell’altro: i risultati più buoni si sono osservati per i pazienti con minor grado di disabilità, a conferma di come sia importante selezionare i pazienti per i trapianti di staminali, così da mitigare i rischi e massimizzare i benefici della terapia, puntualizza la ricercatrice. Che ricorda l’importanza del centro che somministra il trattamento: deve essere un centro ematologico qualificato e con esperienza.

“Parliamo di una terapia non certo di routine – spiega Inglese – ma praticata solo in alcuni casi, come quelli di pazienti con malattia aggressiva, vale a dire con altissima attività di infiammazione, con nuove lesioni e nuove ricadute cliniche e che non migliorano con le terapie ad alta efficacia approvate. La ricerca presentata in Florida è in linea con quanto osservato negli ultimi tempi, anche in un nostro studio pubblicato su Neurology lo scorso anno, sull’efficacia sul lungo termine dei trapianti di staminali ematopoietiche”.

Quello studio era stato condotto su ben 220 pazienti e i risultati indicano che il 60% di loro non ha subito un aggravamento della disabilità dopo dieci anni dal trapianto. In molti casi si è osservato anche un miglioramento del quadro neurologico duraturo nel tempo. Confermato anche il profilo di rischio, con una mortalità inferiore al 3% nello studio canadese, e ancora più basso in quello italiano.

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