Un momento storico si è verificato quando, per la prima volta, è stata dimostrata la secrezione di insulina da cellule trapiantate in pazienti con diabete di Tipo 1 (DT1). Questo risultato è emerso dai risultati intermedi di uno studio clinico di fase I/II, noto come VC02-101 (NCT03163511), condotto da un consorzio internazionale in collaborazione con ViaCyte.
Lo studio si basava sull’impianto sottocutaneo del prodotto PEC-Direct (noto anche come VC-02), costituito da cellule progenitrici pancreatiche collocate in dispositivi di macroincapsulazione. Al contrario delle capsule tradizionali, queste erano “aperte” per consentire la vascolarizzazione diretta delle cellule pancreatiche a loro interno.
Da una parte, maggiore vascolarizzazione significa anche migliore attecchimento e maturazione delle cellule. Dall’altra, però, la macroincapsulazione aperta rendeva necessario un regime di trattamento immunosoppressivo sistemico, con tutti gli effetti collaterali connessi.
I benefici
Dopo i primi successi, sono seguiti degli studi di follow-up su un numero maggiore di pazienti. I risultati non hanno fatto che alimentare l’ottimismo dei ricercatori mostrando:
- Funzionalità confermata. Le cellule impiantate producevano C-peptide, un biomarcatore per l’insulina endogena. In più, la sua produzione era sensibile al glucosio e rispondeva ai pasti.
- Miglioramento glicemico. I pazienti hanno mostrato un miglioramento del controllo glicemico, evidenziato dall’aumento del Tempo nel Range Glicemico (TIR) e una riduzione dell’Emoglobina Glicata (HbA1c).
- Riduzione del fabbisogno esogeno. Nei pazienti che hanno risposto meglio alla terapia, il fabbisogno di iniezioni di insulina è calato del 70% o più.
Nonostante questi successi, rimaneva un grosso problema: la necessità di immunosoppressione.
I tentativi senza immunosoppressione
Per risolvere il problema dell’immunosoppressione, la ricerca si è focalizzata sulla strategia di incapsulamento totale per proteggere le cellule dal sistema immunitario.
L’evoluzione di questa strategia ha portato al prodotto VX-264, progettato per l’impianto chirurgico delle cellule insulino-produttrici all’interno di un dispositivo protettivo incapsulato (modalità non immune-protettiva). L’intento era isolare le cellule e quindi eliminare la necessità di agenti immunosoppressivi.
I risultati di questo studio di Fase I/II, tuttavia, non sono stati all’altezza delle aspettative:
Il dispositivo e la terapia sono risultati generalmente sicuri e ben tollerati. Tuttavia, questa variante si è dimostrata nettamente meno efficace: le cellule incapsulate hanno prodotto un livello insufficiente di insulina. Ciò significa che le cellule non riuscivano a ottenere abbastanza nutrimento per funzionare correttamente.
Per tali motivi, lo studio su VX-264 è stato interrotto.
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