L’Alzheimer è una malattia terrificante, forse una delle più raccapriccianti tra quelle che conosciamo. Al contrario di gran parte della patologie, infatti, colpisce ciò che rende una persona ciò che è: i suoi ricordi.
Anno dopo anno, il malato di Alzheimer dimentica ricorrenze importanti, storie buffe, volti di persone amate. Anno dopo anno, affonda nella confusione e nella paura: si sveglia in un posto sconosciuto, circondato da gente estranea e che gli dice che no, non può tornare a casa. Perfino il volto nello specchio è quello di qualcun altro, troppo anziano per essere il suo.
Un incubo per la persona che ne soffre, ma anche per i parenti che devono prendersene cura.
Purtroppo, ad oggi non esiste una cura per l’Alzheimer: ciò che è perso lo è per sempre. Ciononostante, la ricerca sta facendo passi da gigante nella prevenzione e nel trattamento della malattia. Grazie alle staminali mesenchimali, potremmo rallentare o addirittura fermare il processo di deterioramento cognitivo.
In che modo?
L’Alzheimer in breve
L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa progressiva e senza cura. Chi ne soffre inizia a perdere reti neurali nell’ippocampo, l’area del cervello che controlla la memoria. Nel corso del tempo, la degenerazione si allarga a tutto il cervello e tocca perfino la corteccia cerebrale, ovvero la sede del pensiero e della consapevolezza.
Più reti neurali muoiono, più funzioni cognitive e ricordi si perdono. Nelle ultime fasi della malattia, il paziente perde perfino la propria personalità e non è più in grado di svolgere nemmeno le attività più semplici. Ecco perché le persone affette da Alzheimer hanno bisogno di una cura costante, sia di giorno sia di notte.
Le cause dell’Alzheimer
Contrariamente a ciò che credono in molti, l’Alzheimer non esordisce in vecchiaia. La progressione della malattia dura decenni e inizia ben prima che si manifestino i sintomi.
Secondo alcuni studi, la fase asintomatica dell’Alzheimer dura 20 anni circa. In questa primissima fase, le funzioni cognitive rimangono pressappoco identiche, nonostante il cervello abbia già cominciato a deteriorarsi. Ciò rende molto più difficile studiare la progressione della malattia, per non parlare delle possibili cause.
Nonostante le difficoltà, i ricercatori hanno individuato alcune caratteristiche chiave dell’Alzheimer.
Le placche di betamiloide
La APP è una proteina neuroprotettiva che promuove la crescita cellulare. In condizioni fisiologiche, si divide in frammenti del tutto innocui chiamati P3. Nelle persone che soffrono di Alzheimer, invece, viene tagliata in modo anomalo e forma due catene di amminoacidi. Una di queste è la betamiloide.
La betamiloide ha un grosso problema: si accumula. Man mano che la APP continua a produrla, la betamiloide forma degli aggregati proteici che si infilano tra i neuroni e impediscono loro di comunicare. Ma non finisce qui.
Oltre che impedire le comunicazioni tra neuroni, la betamiloide è tossica per le cellule nervose e provoca un’intensa risposta infiammatoria. Nel tempo, ciò provoca la perdita irreversibile di neuroni.
I grovigli neurofibrillari di proteina tau
L’altra probabile causa dell’Alzheimer sono i grovigli di proteina tau, una proteina che dovrebbe stabilizzare i neuroni. Nelle persone che soffrono della malattia, però, la sostanza forma dei grossi nodi all’interno delle cellule.
Nel tempo, i grovigli di proteina tau diventano sempre più grandi e numerosi, fino ad uccidere le stesse cellule nervose. Inoltre, stimolano un’altra risposta infiammatoria, che si somma a quella causata dalle placche di betamiloide e peggiora ulteriormente le condizioni del cervello.
Funzione della microglia compromessa
Diversi studi hanno rivelato che il rischio genetico prevalente nel morbo di Alzheimer è l’apolipopotreina E4 (APOE4): APOE4 blocca l’azione della microglia, ovvero le cellule immunitarie del cervello.
La microglia ha il compito di rimuovere le sostanze proteiche anomale dal cervello attraverso un meccanismo chiamato fagocitosi. Nell’Alzheimer, la funzione della microglia è compromessa ed è per questo che la betamiloide e la proteina tau continuano ad accumularsi fino a distruggere i neuroni.
APOE4 rappresenta il rischio genetico maggiore per l’Alzheimer. Le apolipoproteine giocano un ruolo determinante nel metabolismo dei lipidi, come il colesterolo, e contribuiscono a riparare il danno cellulare nel cervello. Sono presenti in tre isoforme, ma solo l’APOE4 predispone all’Alzheimer: più del 50% dei pazienti presentano questa isoforma, ma il suo ruolo non è ancora chiaro.
I ricercatori hanno dimostrato che APOE4 promuove la risposta infiammatoria della microglia umana, ma al contempo riduce la capacità delle cellule di migrare e di fagocitare il materiale patogeno. Inoltre, APOE4 blocca l’attività metabolica della microglia.
L’Alzheimer è genetico?
L’Alzheimer ha sicuramente una componente genetica, specie nelle forme precoci, ma non è necessariamente ereditario. Al contrario, gran parte dei casi sono ricollegabili a variabili sporadiche, ovvero non ereditarie.
Da quanto ne sappiamo, l’Alzheimer è provocato dalla concomitanza di fattori genetici e ambientali. Mentre i primi non si possono ovviamente controllare, i secondi potrebbero essere un pochino più facili da gestire: malattie cardiocircolatorie, peso eccessivo, sedentarietà e depressione sono tutti fattori che contribuiscono all’insorgere della malattia.
Come le staminali potrebbero agire contro l’Alzheimer
Sulla base di quanto sappiamo dell’Alzheimer, i ricercatori di tutto il mondo stanno elaborando strategie diverse per bloccarne l’avanzata sul nascere e, magari, anche per farne regredire i sintomi. Molti di questi studi vertono sull’uso delle cellule staminali mesenchimali, specie su quelle prelevate dal cordone ombelicale.
Sulle prime, si potrebbe pensare che l’obiettivo sia rigenerare i neuroni persi a causa della malattia. In realtà, gli studi attuali mirano soprattutto a sfruttare altre proprietà delle cellule staminali, oltre a quelle rigenerative.
Spegnere l’infiammazione cronica
La neuroinfiammazione è una grossa fetta del problema, dato che elimina sia le cellule danneggiate sia quelle sane. Sul lungo periodo, questo accelera la progressione della malattia invece che rallentarla.
Le staminali mesenchimali riescono a modulare la risposta del sistema immunitario, il che trova diverse applicazioni in tutta la medicina rigenerativa. Se ci soffermiamo sulla ricerca contro l’Alzheimer, vediamo che l’infusione di staminali mesenchimali riduce l’infiammazione cerebrale e blocca la progressione della malattia.
Stimolare la neurogenesi
Contrariamente a quanto si credeva fino a qualche anno fa, gli esseri umani producono neuroni per tutta la vita, se messi nelle condizioni giuste. Una delle proprietà delle staminali consiste proprio nel rilascio di abbondanti fattori neurotrofici, ovvero sostanze che stimolano:
- la sopravvivenza dei neuroni sani;
- la formazioni di nuovi neuroni;
- la formazione di collegamenti nuovi tra i neuroni, ripristinando almeno parte delle connessioni perse.
Le staminali non possono riparare tutti i danni fatti dall’Alzheimer, né tanto meno restituire i ricordi persi. In compenso, possono salvaguardare i tessuti sani e aiutare a recuperare almeno parte delle funzioni cognitive.
Rimodulare l’ambiente cerebrale
Come detto sopra, le staminali mesenchimali riescono a modulare la risposta immunitaria. Questo si traduce in un’influenza positiva sulla microglia che, come visto, è essenziale per eliminare gli accumuli di proteine.
Il problema della barriera emato-encefalica
Sulla carta, sembra quali che i ricercatori abbiano la cura per l’Alzheimer già in tasca. Purtroppo le cose sono molto più complesse di così e parte del problema sta nella barriera emato-encefalica.
La barriera emato-encefalica è la rete di vasi sanguigni che circonda il cervello e che lo protegge dagli agenti esterni. Sebbene sia cruciale per la nostra sopravvivenza, rende quasi impossibile per la maggior parte dei farmaci tradizionali raggiungere le aree colpite dall’Alzheimer in quantità efficaci. È la principale difficoltà nel trattamento di tutte le malattie cerebrali, non solo dell’Alzheimer.
Le cellule staminali mesenchimali possono superare o aggirare in parte queste barriere, raggiungendo le aree colpite dall’infiammazione. Prima di procedere con i trattamenti sugli esseri umani, però, bisogna accertarsi che la terapia sia sicura e ben tollerata dall’organismo. Gli studi in corso servono proprio a questo.
Al momento, pare che i risultati migliori si ottengano usando le staminali del cordone ombelicale, grazie alla loro giovinezza e alla scarsa immunogenicità. Anche per questa ragione, Sorgente è da sempre in prima linea nel promuovere la conservazione del cordone ombelicale e delle sue preziose staminali.
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