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Un fattore nel sangue cordonale combatte la sepsi

08.09.2016

2 min di lettura

I ricercatori della University of Utah School of Medicine hanno scoperto un nuovo motivo per conservare il sangue del cordone ombelicale. Il sangue cordonale contiene infatti un fattore che riduce il tasso d[...]

I ricercatori della University of Utah School of Medicine hanno scoperto un nuovo motivo per conservare il sangue del cordone ombelicale. Il sangue cordonale contiene infatti un fattore che riduce il tasso di mortalità in caso di gravi infiammazioni e sepsi. I primi risultati sulle cavie sono molto incoraggianti.

Quando il corpo subisce traumi come una slogatura o la puntura di un insetto, il sistema immunitario reagisce. Entrano in azione anche le cosiddette trappole extracellulari dei neutrofili, che combattono i batteri presenti nel corpo. In situazioni normali, l’infezione rientra entro breve tempo. In caso di patologie come la sepsi, l’infiammazione degenera e le trappole extracellulari dei neutrofili colpiscono i vasi sanguigni e gli organi interni. Questa è una delle cause più comuni di morte in ospedale.

Guy Zimmerman e Christian Con Yost, gli autori della ricerca, hanno isolato un fattore inibitorio presente nel sangue cordonale. Il fattore nNIF inibisce la produzione delle trappole extracellulari dei neutrofili, tenendo sotto controllo la sepsi. Gli scienziati l’hanno testato su cavie affette da diverse forme di sepsi. Senza il trattamento, solo il 20% delle cavie è vissuta per più di quattro giorni. Con il trattamento, la percentuale è salita al 60%.

Il fattore nNif rimane in circolo solo per due settimane dopo la nascita, dopodiché scompare dall’organismo. L’unico modo per recuperarlo è attingerlo dal sangue cordonale, debitamente conservato alla nascita. Il fattore è presente anche nella placenta, ma in forma meno potente. I ricercatori ipotizzano che la sua funzione originaria sia salvaguardare il bambino contro il sistema immunitario della madre. Servirebbe anche per proteggerlo dai batteri che potrebbero attaccarlo durante il parto e immediatamente dopo.

Fonte: healthsciences.utah.edu

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