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Portate indietro le lancette delle cellule staminali embrionali

Gli scienziati dell’Università Johns Hopkins hanno ringiovanito un campione di cellule staminali embrionali umane. Gli autori dello studio hanno così restituito alle cellule versatilità e flessibilità, proprio come avevano già fatto con le cellule di alcune cavie. La procedura facilita la specializzazione delle cellule staminali, così da creare tessuti da usare in trapianti e ricerca.

Le cellule staminali embrionali isolate dai topi sono molto facili da manipolare. I ricercatori riescono a convertirle in altri tipi di cellule o a manipolarle geneticamente con relativamente poco sforzo. Le cellule staminali embrionali umane sono invece più difficoltose da trattare. È difficile mantenerle in vita in vitro, si convertono in un ventaglio più ristretto di tessuti e resistono maggiormente alla rimozione o all’inserimento di singoli geni. Lo stesso vale per le cellule staminali umane indotte, ovvero quelle ricavate da tessuti adulti. Il team della Johns Hopkins ha usato un cocktail composto da tre inibitori chimici per risolvere il problema.

Per molti anni i ricercatori hanno attribuito le differenze tra cellule staminali umane e murine alle differenze tra specie. Nel 2007 hanno scoperto invece che i topi hanno due tipi di cellule staminali primitive: le cellule staminali dell’epiblasto, meno flessibili e più simili a quelle umane; le cellule staminali convenzionali, molto più malleabili. Gli scienziati hanno quindi pensato che, forse, anche le cellule staminali umane potrebbero nascondere certe caratteristiche.

Il cocktail ripristina geni e proteine che accomunano cellule staminali murine e presenti negli embrioni umani ai primi stadi, assenti però nelle cellule staminali embrionali umane convenzionali. Le cellule così trattate si differenziano con una frequenza anche tripla rispetto a quelle non trattate. Il prossimo passo sarà comprendere i meccanismi cellulari che stanno dietro a questo successo.

Fonte: phys.org

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