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Dalle cellule staminali una speranza contro la sclerodermia

La sclerodermia sistemica è una malattia autoimmune letale, con pochi trattamenti efficaci. I ricercatori della Duke Health hanno analizzato gli effetti del trapianto di cellule staminali sulla malattia. Per il momento, i risultati sono positivi e fanno ben sperare.

Lo studio evidenzia un netto miglioramento nei pazienti sottoposti a chemioterapia e successivo trapianto di cellule staminali. I pazienti soffrivano tutti di una forma grave di sclerodermia, che interessa anche gli organi interni e soprattutto i polmoni. Le alternative per queste persone erano ben poche: i normali farmaci sono efficaci solo sul breve periodo.

Studi precedenti avevano già mostrato gli effetti positivi del trapianto di cellule staminali, senza però chemioterapia. In questi casi il trattamento era meno stressante per l’organismo, ma anche meno efficace sul lungo periodo. Infatti, in molti casi la malattia tornava dopo qualche anno. Per questo motivo, il trattamento immunosoppressivo è rimasto quello standard contro la sclerodermia.

Il team del dottor Sullivan hanno sviluppato un trattamento a base di chemioterapia e cellule staminali. I medici prima eliminano il sistema immunitario del paziente, dopodiché lo riformano grazie al trapianto di cellule staminali. Il trattamento è debilitante, ma pare aumentare le possibilità di sopravvivenza e diminuire gli effetti della malattia. Per ridurre al minimo le conseguenze negative della chemioterapia, i medici hanno schermato reni e polmoni.

I ricercatori hanno assegnato 36 pazienti al trapianto e 39 pazienti al gruppo di controllo. I primi si sono sottoposti a chemioterapia e trapianto autologo di cellule staminali. I secondi hanno ricevuto iniezioni di un farmaco immunosoppressivo per 12 mesi. Concluso il trattamento, sono stati seguiti per 10 anni, per verificare la durata degli effetti.

Dopo 54 mesi, il 67% dei pazienti del primo gruppo mostrava netti benefici, contro il 33% del secondo. Dopo 72 mesi, quasi l’86% dei pazienti del primo gruppo era vivo, contro il 51% del secondo gruppo.

Fonte: eurekalert.org

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