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La sindrome metabolica dopo un tumore pediatrico trattato con radio e chemio

Negli ultimi decenni, i tassi di sopravvivenza dei pazienti con tumori in età pediatrica sono aumentati considerevolmente grazie all’ottimizzazione della chemioterapia e della radioterapia, della chirurgia, del trapianto di cellule staminali e al miglioramento delle terapie di supporto. Infatti, le percentuali di “guarigione” (intesa come sopravvivenza libera da malattia a 5 anni) dei pazienti affetti da un tumore pediatrico sono molto elevate, attestandosi globalmente intorno all’80%, con percentuali ancora maggiori per le leucemie linfoblastiche acute, che sono i tumori più frequenti nel bambino. Tuttavia, la mortalità dei sopravvissuti a neoplasie infantili (in inglese “childhood cancer survivors”, CCS) è significativamente aumentata in confronto con quella della popolazione generale. Questo eccesso di mortalità, che nei primi tempi dopo la diagnosi è generalmente dovuto dalla persistenza o recidiva del tumore primitivo, nelle fasi successive è invece dovuto agli effetti tardivi delle terapie anti-tumorali, responsabili anche di un’aumentata incidenza di altre malattie. Dunque, solo oggi, si sta maturando una maggiore consapevolezza circa gli effetti collaterali tardivi e a lungo termine del trattamento dei tumori pediatrici.

Gli effetti tardivi del trattamento possono essere di varia gravità e interessare qualsiasi organo o apparato. Le complicanze più gravi sono rappresentate dalle cardiopatie e dai secondi tumori maligni. Tuttavia, quelle più frequenti, che si rilevano in più della metà dei pazienti con pregressa patologica onco-ematologica dopo un follow-up di 15-20 anni riguardano il sistema endocrino. È necessario, dunque, proseguire per molti anni – e quindi anche in età adulta – il monitoraggio clinico di questi soggetti. I principali bersagli endocrini di tossicità tardiva delle terapie oncologiche sono l’ipofisi, la tiroide e le gonadi, ma non vanno dimenticati il rischio di osteoporosi, obesità e dislipidemia. Numerosi studi epidemiologici, per esempio, riportano un’aumentata incidenza della sindrome metabolica e di malattie cardiovascolari in questo gruppo di pazienti, che possono influenzare l’aspettativa e la qualità di vita.

La sindrome metabolica (detta anche sindrome X o sindrome da insulino-resistenza) è una patologia clinica nella quale diversi fattori fra loro correlati concorrono ad aumentare la possibilità di sviluppare patologie a carico dell’apparato cardiovascolare e diabete mellito di tipo II. Diversi criteri sono stati proposti per caratterizzare questa sindrome, che includono: alterazioni del metabolismo lipidico, ipertensione, obesità tronculare e insulino-resistenza.

Un aumentato rischio di sviluppare la sindrome metabolica è stato riportato nei pazienti sopravvissuti ai tumori in età pediatrica che potrebbe contribuire a un precoce sviluppo dell’aterosclerosi e delle malattie correlate (in soggetti predisposti). Lo sviluppo delle malattie cardiovascolari è sicuramente un processo multifattoriale, in cui i fattori di rischio più comuni sono adiposità, insulino-resistenza/diabete mellito, dislipidemia e ipertensione, patologie che possono essere raggruppate sotto il termine di “sindrome metabolica” appunto. In questi pazienti, uno squilibrio tra l’eccessivo introito calorico e il consumo di energia determina una maggiore incidenza di obesità, con tutte le relative conseguenze cliniche, tra cui l’accumulo di grasso nel fegato (steatosi epatica), e l’iperinsulinemia, la quale, a sua volta, contribuisce allo sviluppo dell’ipertensione.

Nei pazienti sopravvissuti a tumori cerebrali in età pediatrica, la chirurgia, la radioterapia e la chemioterapia possono danneggiare due ghiandole molto importanti, l’ipotalamo e la ghiandola pituitaria, portando a diversi disturbi endocrini, il più comune dei quali è il deficit di ormone della crescita (GH). Ad esempio, nei pazienti affetti da neoplasie della regione ipotalamica, le alterazioni della funzione ipofisaria possono essere il sintomo iniziale della malattia dovuto all’invasione tumorale o essere conseguenza dell’intervento neurochirurgico. Tuttavia, la causa di gran lunga più frequente di disfunzione ipofisaria in questi pazienti è rappresentata dalla radioterapia (RT). Il danno causato da radiazioni ionizzanti generalmente interessa esclusivamente l’ipofisi anteriore e si manifesta con uno spettro di gravità variabile, dal deficit di ormone della crescita isolato (GHD) al deficit di tutti gli ormoni ipofisari, in funzione della dose erogata all’ipofisi. Dopo la radioterapia, infatti, la secrezione dell’ormone della crescita può diminuire gradualmente e irreversibilmente nel corso degli anni.

Come mostrato in numerosi studi, il deficit di GH è responsabile dello sviluppo di diverse componenti della sindrome metabolica: l’adiposità, l’insulino-resistenza, la dislipidemia e l’ipertensione.

Pertanto nei pazienti sottoposti a trattamenti chemio- e/o radioterapici con pregressa patologica onco-ematologica devono essere monitorate su base annuale/biennale: le alterazioni del metabolismo lipidico (colesterolo totale, HDL, trigliceridi), la valutazione del peso corporeo (mediante valutazione dell’indice di massa corporea), la misurazione della pressione arteriosa e il controllo dei valori glicemici (per valutare l’eventuale comparsa di diabete) al fine di prevenire le malattie cardiovascolari.

Fonte: Fondazione Serono

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