Biobanca è un termine che torna spesso, quando si parla di ricerca medica e di cellule staminali. Anche quando non si hanno conoscenze precise in merito, il termine rievoca l’immagine di una banca nella quale conservare qualcosa di biologico. Che cosa, nello specifico? Come funzionano le strutture di questo tipo?
Una biobanca – detta anche banca biologica – è una collezione di campioni biologici umani di diversa provenienza. La funzione della banca è raccoglierli, processarli, conservarli e infine distribuirli. Tutti i campioni sono accompagnati dai dati del donatore, per poterli eventualmente usare a fini di ricerca.
I campioni vengono donati volontariamente dagli individui stessi o dai loro tutori legali, in caso di minori.
All’interno di tutte le biobanche si conserva materia viva, soggetta quindi a deterioramento. Per questa ragione, i campioni vengono conservati a bassissime temperature, con tecniche che possono cambiare in base al tipo di campione e all’uso che se ne vuole fare. La più comune è la crioconservazione.
Affinché una biobanca sia legalmente tale, dev’essere riconosciuta dalle autorità sanitarie del paese nel quale è situata. Questo riconoscimento viene dato solo alle biobanche che rispettano rigidi criteri qualitativi, così da garantire la sicurezza e i diritti di tutti i soggetti coinvolti: lavoratori, ricercatori, pazienti che saranno curati con quei campioni biologici.
Benché possano sembrare qualcosa di futuristico, le prime biobanche risalgono alla Guerra di Secessione Americana: nel 1862, l’allora Dipartimento della Difesa istituì il primo deposito per materiale biologico. La sua funzione era raccogliere campioni di tessuti malati, per studiarli con calma ed elaborare nuove cure. Un po’ com’è al giorno d’oggi, insomma.
Le prime biobanche avevano finalità simili a quelle odierne, ma le risorse e le tecnologie a disposizione erano radicalmente diverse. Spesso gli operatori avevano a disposizione un singolo congelatore, dentro il quale stipare tutti i campioni. È facile immaginare quale fosse il rischio di contaminazione.
Per ridurre al minimo le contaminazioni, si svilupparono biobanche specializzate nella raccolta di tipologie particolari di campioni. In particolare, all’inizio degli anni ‘80 ci fu un boom di biobanche specializzate nella raccolta di tessuti provenienti da malati di AIDS. Il trend si espanse anche ad altre malattie e ad altri tipi di campioni biologici.
Nel giro di vent’anni nacquero migliaia di biobanche in tutto il mondo, molte delle quali con standard qualitativi nulli. Per questa ragione, nel 2000 nacque la ISBER, l’organizzazione internazionale delle biobanche. Da allora, tutte le biobanche riconosciute devono seguire procedure standard per la raccolta e la conservazione dei campioni.
In Italia esistono due tipi principali di biobanca:
Chi volesse avere informazioni dettagliate sulle biobanche presenti in Italia può consultare il Nodo Nazionale della Infrastruttura di Ricerca Europea delle Biobanche e delle Risorse BioMolecolari (BBMRI), un’infrastruttura che include biobanche e centri di ricerca sparsi su tutto il territorio. I filtri consentono di selezionare le strutture in base alle finalità e alle tipologie di campioni conservati.
Nelle biobanche si conservano materiali biologici umani collegati a dati clinici. Specie nel caso delle biobanche di ricerca, i dati sono anonimizzati per proteggere la privacy del donatore.
Ciascun blocco di campioni e dati è contrassegnato uno pseudonimo. In un database separato, sono conservati tutti gli pseudonimi e i nomi reali dei donatori. Nel caso in cui dovessero emergere novità importanti, come la possibilità di accedere a una terapia sperimentale, i ricercatori possono risalire ai donatori e contattarli. Altrimenti, tutte le loro informazioni di contatto rimangono inaccessibili.
Le banche del sangue sono le biobanche terapeutiche più comuni, dato che molte strutture ospedaliere ne hanno una interna. Al loro interno, vengono conservate sacche di sangue intero, sacche di plasma e di altri emocomponenti.
Dopo la raccolta, effettuata presso centri sparsi su tutto il territorio e gestiti da associazioni di volontari, le sacche di sangue vengono testate. Se il sangue risulta sicuro e quindi utilizzabile, le si conserva a una temperatura di 4°C, suddivise per gruppo sanguigno e fattore Rh. In questo modo sono sempre disponibili, in caso di operazioni chirurgiche e trasfusioni di urgenza.
Telethon cura un’importante rete di biobanche genetiche in Italia, la Telethon Network of Genetic Biobanks (TNGB). Ne fanno parte 11 biobanche, che raccolgono campioni provenienti da pazienti con malattie genetiche rare.
Oltre che conservare campioni biologici e dati essenziali del paziente, le biobanche genetiche tengono in archivio tutta l’anamnesi del donatore. I ricercatori hanno quindi accesso alla storia clinica del paziente, dei suoi genitori e dei parenti stretti. Non sempre è possibile analizzare il DNA di tutti i familiari, ma questi dati consentono di individuare altri casi sospetti in famiglia.
Le biobanche genetiche hanno un’importanza enorme ai fini della ricerca. Analizzando i tessuti di pazienti affetti dalla stessa malattia, i ricercatori individuano le anomalie genetiche che hanno in comune. In un secondo momento, verificano quali anomalie sono connesse alla malattia e in quale modo. A partire da questi dati, elaborano possibili trattamenti e testano l’efficacia di nuovi farmaci.
Nel caso in cui una terapia dovesse dimostrarsi efficace, il sistema di catalogazione consente di contattare i donatori affetti della malattia e, se possibile, sottoporli a nuovi trattamenti.
Le biobanche oncologiche sono biobanche di ricerca finalizzate alla prevenzione, diagnosi e cura del cancro. Al loro interno sono conservati campioni biologici appartenenti a pazienti oncologici, raccolti durante biopsie e interventi chirurgici per la rimozione di tumori e metastasi; sono inoltre presenti campioni di sangue e di altri liquidi biologici.
Grazie alle biobanche oncologiche, i ricercatori possono studiare la struttura e il comportamento di diversi tipi di tumore. Facendo moltiplicare le cellule in ambienti controllati, è possibile individuare i fattori che ne favoriscono lo sviluppo. In questo modo, è più facile elaborare strategie di prevenzione e trattamenti ad hoc, in base allo stadio della malattie e alle caratteristiche del paziente.
I campioni vengono sempre raccolti col consenso del paziente o dei suoi familiari, in caso di decesso.
Le banche per cellule staminali raccolgono campioni di cellule staminali, di solito provenienti dal sangue cordonale e dal tessuto del cordone. Le staminali in questione possono essere usate con finalità di ricerca o, se conservate privatamente dalla famiglia, essere destinate esclusivamente all’uso terapeutico.
La raccolta delle staminali del cordone avviene direttamente in sala parto e consiste nel prelievo del sangue rimasto nel cordone; per conservare le cellule mesenchimali, si preleva anche un pezzo di cordone ombelicale lungo circa 10 cm. Il tutto è innocuo e non invasivo, sia per la mamma sia per il bambino.
I tessuti raccolti vengono inviati alla biobanca, dove subiscono un primo controllo. Se risultano idonei, vengono conservati finché un ricercatore o un paziente non li richiede.
In Italia, la conservazione del sangue cordonale ha scopo esclusivamente allogenico, ovvero i tessuti sono a disposizione della collettività. La conservazione per uso dedicato è prevista solo in questi casi:
Ad oggi, in Italia ci sono 18 banche del sangue cordonale, connesse a circa 270 strutture ospedaliere adibite alla donazione del cordone ombelicale. Benché più del 60% dei parti avvenga in queste strutture, il sangue cordonale viene conservato solo nel 3,5% dei casi.
Chi dona il cordone lo fa con la speranza di aiutare gli altri e, in caso di bisogno, di poter accedere alle staminali donate. Sarebbe vero, se gran parte dei cordoni donati non andassero persi. Solo una percentuale minima di cordoni ombelicali rispetta i rigidi standard italiani; tutti gli altri vengono gettati via, esattamente come i cordoni che non sono stati donati.
Nel nostro paese, l’unica strada certa per conservare le staminali è il privato, quindi. Altrimenti, è impossibile avere la certezza che il sangue cordonale non vada perso.
Affinché i campioni biologici rimangano intatti e utilizzabili, bisogna stabilizzarli a una temperature di -170°C, senza però che l’acqua al loro interno li distrugga mentre ghiaccia. A questo scopo, tutti i campioni vengono trattati con “crioprotettori”, ovvero sostanze che proteggono le cellule dai danni da freddo. Grazie a queste molecole, il sangue e il tessuto cordonale rimangono intatti anche dopo il bagno nell’azoto liquido.
I campioni così trattati vengono conservati tutti insieme in strutture refrigeranti che ne mantengono la temperatura costante. Secondo le evidenze che abbiamo al momento, il sangue cordonale crioconservato è utilizzabile per oltre vent’anni. Nelle giuste condizioni, però, è probabile che rimanga utilizzabile per molto più tempo.
In una biobanca di comprovata serietà, ci sono protocolli d’emergenza in caso di cali di corrente. Qualora dovesse mancare la corrente, i generatori d’emergenza entreranno in funzionamento per mantenere accese le strutture refrigeranti.
Le banche del sangue cordonale migliori forniscono un’ulteriore garanzia in caso di fallimento della biobanca: nel caso la società dovesse chiudere, i container di crioconservazione rimarranno in funzione fino alla naturale chiusura dei contratti. Questo vale per Sorgente e per poche altre realtà.
"Siamo davvero rimasti soddisfatti, azienda seria, tutor sempre a disposizione, personale competente e professionale. Complimenti!"
Badalà/Lombardo (Cliente Sorgente)
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