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Farmaci già in uso per le malattie del sangue, funzionano per la glomerulonefrite

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Farmaci già in uso per le malattie del sangue, funzionano per la glomerulonefrite

Uno studio italiano condotto dai ricercatori dell’ospedale pediatrico fiorentino Meyer in collaborazione con i collegi dell’Università di Firenze ha dimostrato per la prima volta una similitudine tra i meccanismi che scatenano alcune gravi forme di glomerulonefrite, un gruppo di malattie renali che può portare alla necessità della dialisi o del trapianto, e quelli alla base di alcune malattie del sangue. Lo studio, che si è aggiudicato la copertina sulla rivista specializzata Science Translational Medicine, apre la strada all’utilizzo di alcuni farmaci, già impiegati contro patologie del sangue, anche nel trattamento di alcune forme di glomerulonefrite.

Come sottolineato dall’ospedale pediatrico fiorentino Meyer in una nota, le glomerulonefriti sono patologie infiammatorie del rene che colpiscono da 2 a 10 persone ogni 100, a seconda delle diverse età, dai bambini agli adulti. Queste malattie sono fra le cause più frequenti di insufficienza renale terminale.

Nel corso dello studio, è stato osservato che alcune forme di glomerulonefrite derivano, in maniera simile ad alcune malattie del sangue, dalla proliferazione abnorme di singole cellule staminali (cloni) che generano nel rene delle lesioni denominate “semilune”.

L’utilizzo di farmaci già usati per curare alcune malattie del sangue blocca la formazione delle “semilune” e le converte in cellule renali mature, perfettamente funzionanti, aprendo la strada a nuove possibilità terapeutiche per queste gravi malattie.

I risultati dello studio, finanziato dalla Regione Toscana e dall’European Research Council, suggeriscono, infine, “che l’espansione di un particolare sottotipo di cellule staminali renali nelle “semilune” nelle biopsie di pazienti affetti da glomerulonefrite è associato alla malattia renale allo stadio terminale, una informazione che può essere utile per meglio diagnosticare queste malattie e prevedere la loro prognosi”, conclude la nota.

 

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