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Addio innesti ossei: sviluppata tecnica di stampa 3D per sostituirli

Un gruppo di ricerca del Trinity College Dublin ha sviluppato una nuova tecnica per riparare i danni alle ossa più estesi. La tecnica sfrutta la stampa 3D per ottenere modelli in cartilagine dell’osso mancante a partire dalle cellule staminali. Una volta impiantato, il modello in cartilagine dovrebbe permettere al corpo di sviluppare nuovo osso. Un giorno la tecnica potrebbe sostituire gli attuali innesti ossei, efficaci ma anche invasivi e dolorosi.

Uno dei grandi problemi della stampa 3D è che risulta difficile, se non impossibile, stampare strutture molto complesse. Un osso è troppo complesso per una tecnica del genere, poiché ha molti vasi sanguigni al suo interno. I ricercatori hanno quindi deciso per un approccio diverso, che consenta di sfruttare le potenzialità effettive della tecnologia. Partono quindi dalla stampa di una condensazione di cellule staminali. Le cellule staminali si convertono in un tessuto morbido e tutto sommato semplice, come la cartilagine. La cartilagine fa da modello per il tessuto più complesso dell’osso, che però viene sviluppato direttamente dal corpo.

La macchina 3D stampa livelli di cellule staminali alternati a di biomateriale di supporto, che faccia da scheletro. In questo modo, livello dopo livello, si ottiene un supporto per le cellule con la forma desiderata. Il tutto viene posto in un’incubatrice insieme a un apposito liquido di coltura. Nel giro di 4 settimane, la struttura sviluppa un modello in cartilagine dell’osso. I medici provvedono quindi a impiantarlo sottopelle, dove la cartilagine viene avvolta dai vasi sanguigni e consente pian piano al corpo di far crescere l’osso mancante.

L’ostacolo maggiore a questa tecnica è il tempo: i ricercatori non hanno ancora ben chiaro quando ci voglia affinché l’osso ricresca in questa maniera nell’uomo. Per il momento, hanno sperimentato la tecnica sulle cavie a partire da cellule staminali di maiale. Nel corso dei prossimi anni, dovranno verificare quanto sia efficace per l’uomo, ma saranno necessari ancora 10 anni circa di ricerche.

Fonte: ibtimes.co.uk

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